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Lo shochu nasce presumibilmente intorno al 1500 a Kagoshima. Delle tavole di legno intagliato risalenti a quel periodo, parte dell’intelaiatura del tetto di un tempio, riportano la prima testimonianza disponibile della presenza del distillato. Su di esse viene descritta una bevanda prodotta a partire da riso fermentato che il sacerdote del tempio era solito offrire ai due carpentieri impegnati nella costruzione dell’edificio. Furono proprio loro, per ripagare il gentile sacerdote, a lasciare dietro di sé questa incredibile testimonianza. In Giappone il termine shochu definisce una serie di distillati la cui materia prima può essere alquanto diversa: riso, patate dolci, zucchero di canna o castagne, a seconda della regione di provenienza del prodotto. Dal punto di vista etimologico, shochu significa “vino bruciato”, avvicinandosi concettualmente ai brandy di origine europea. La materia prima originale utilizzata per la distillazione fu il riso, presumibilmente il resto della torchiatura del sake, una sorta di vinaccia distillata in alambicchi discontinui e a fuoco diretto. Tra le colline di Kagoshima, da oltre un secolo e mezzo, la distilleria Nishi produce shochu tramite processi produttivi che rispettano appieno la tradizione. Tra i diversi ingredienti utilizzati, quello maggiormente impiegato è la patata dolce, coltivata localmente in modo tale da poter controllare l’intera filiera e garantire la massima qualità.